"Macchina" di Erminia Passannanti Recensione di Francesco Mandrino

 

"Macchina" di Erminia Passannanti

Recensione di Francesco Mandrino


Piero Manni, Lecce 2000, pp. 127



Avrebbe potuto essere per me un libro come altri, non tanti ma nemmeno l'unico, un bel libro di poesie la cui lettura si rivela, pagina dopo pagina, coinvolgente dal lato dei sentimenti. Non sarebbe mancata la materia di cui scrivere né le sfaccettature da far rilevare; voglio fare qualche esempio fra i più immediati, là, tanto per capirci meglio.

La poesia "il Re, le Parole" (p. 25), scritta necessariamente prima del martedì 11 settembre 2001, e di tutto quanto è stato detto e scritto dopo quel giorno in cui la storia ha vestito la tragedia. I primi tre versi, "A me la vita non piace / e non posso cambiarla. // Mi sforzo allora", speculari agli ultimi tre, "nella speranza che il male e il bene // non mentano più e smettano / di sembrare diversi.", il riferimento potrebbe apparire immediato se non disponessimo delle date, tuttavia, al di fuori del sussulto emozionale momentaneo, il fatto avvenuto non pesa sul verso tanto da cambiarne il senso.

Si potrebbe confrontare come la tecnica di negare l'azione per rafforzare l'intenzione, che in P. Neruda (Venti poesie d'amore - n°20), parte da una condizione intransitiva, "Posso scrivere i versi più tristi ...", per poi aprirsi all'universale, "... gli astri azzurri lontano>.", nel caso in questione parte da una condizione transitiva che non si allontana dall'interlocutore, "potrei forse scriverti / ... /se come noi / anche tu / hai consumato i tuoi giorni" (p. 73), e pur insinuando la negazione la fa risalire a qualcosa di esterno al rapporto con l'interlocutore, dice infatti "potrei se ... tu hai", non "tu avessi", la condizione viene solo dopo un doppio spazio: "potrei // ma qui si aggirano i corvi / ... / al servizio delle tenebre.", quando la situazione si allontana dall'interlocutore verso l'universale e trova il suo esito. Nell'altro caso, l'esito viene trovato invece nel ripiegamento sull'interlocutore, anche se assente: "Anche se ... / questi sono gli ultimi versi che le scrivo." Infine, pur se profondamente diverse, restano sempre due poesie d'amore.

Questa "Macchina" sfugge all'accezione popolare che la vuole automobile o autovettura e si avvicina di più al "machina, ae, f., macchina, ordigno; macchina militare usata per assedi; macchinazione, furberia, artifizio, invenzione." (Campanini - Carboni). E si avvicina ancor più, strettamente nel mio caso, ad un'accezione personale, e cioè: meccanismo inquietante dal movimento tanto veloce e complesso da renderne impossibile l'osservazione durante il funzionamento (avete mai visto una linotype in funzione?). Avrebbe potuto essere tutto questo, né sarebbero mancati gli argomenti da trattare, invece a pagina 51, al centro della poesia "Brina" ho letto, scritto in corsivo: "L'opera di un uomo, disse un giorno / mentre recidevo una rosa, / non è che questo lento viaggio / attraverso quelle due tre immagini / grandi e semplici alla cui presenza / il suo cuore ha per la prima volta trasalito.".

Ricordo di aver visto un piccolo elicottero atterrare dolcemente su di un prato; giunto a pochi metri dal suolo, per un vasto raggio, tutta l'erba intorno si è improvvisamente coricata. Allo stesso modo, dopo la lettura, tutto è caduto intorno a me: la tenerezza dei ricordi di gioventù, il rimpianto degli amori perduti, la sofferenza delle decisioni prese; solo è rimasto qualcosa di avvenuto e di lontano, eppure vivo e indelebile anche se cancellato, di indefinibile prima ancora che indicibile; qualcosa che mi ha attratto come non mi attrae più il futuro, come lo specchio di luce in fondo al buio di un pozzo.

Cosa posso dire ora al letture cui sono chiamato a dire: attenti a voi, lasciate questo libro nelle mie mani e passate oltre, abbandonatemi in questa stanza buia insieme al Signor Gregor Samsa, che sta ultimando la sua metamorfosi.



Francesco Mandrino

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