Corpo e spazio. Una poesia di Erminia Passannanti
"Corpo e spazio"
equipaggiato di sterminata
innocenza. Si dispone
sull’esercizio della postura retta,
sopra il capo, sotto i piedi.
Tale verticale saggezza induce a fissare
la fisicità nei margini della planimetria
del corpo, da polo a polo,
dall’anima bella al rozzo ginocchio
trasferito nel sistema immaginario
a dimensioni di monumento sepolcrale
delle oppressioni e dei torti.
Metafore come cornici della vita
e misura di predominio.
O vita, mente e corpo senza uguale
diritto alla sopravvivenza
e alla onorabilità dell’ubriachezza.
O giudizio, teorema che reca danno, bacia
e colpisce a morte il suo bersaglio
destinato a proiettarsi nel dio miserabile
dei dati di fatto.
Ciò che parifica precede, non noi,
nel partecipe oggi e nel futuro franco,
non conclusivo e nemmeno antecedente,
ma anzi traccia che annulla l’alto e il basso
e riconverte lo spazio a comunanza.
Erminia Passannanti, da Il Torsolo del Ventre ed altre Fandonie (2006)
Textual Analysis
"A poet (and a friend) with a singular voice
— lucid, intense, unapologetically thoughtful."
(B. Cole)
This is a rich and layered text, dense with satirical and political tension, which I have attempted to analyse prior to translating it. Reading it feels like entering a philosophical apparatus disguised as poetry: a mental space that simulates the architecture of the body in order to speak about power, judgment, and survival.
The poem immediately stages a “high” register—almost oracular in tone—that adopts an assertive and quasi-scientific language (through terms such as tropo ascensionale, planimetria, sistema immaginario). Yet this gesture serves to dismantle the authority of dominant discourse. It is as though the poem mimics the language of bureaucratic systems that seek to contain the body, to delineate its boundaries, to regulate it—but does so in a parodic, ironic tone that lays bare the absurdity inherent in such will to control.
The body is represented as a site of conflict, a kind of map (planimetria) traversed by vertical tensions (from the “noble soul” to the “coarse knee”). This verticality alludes to classical hierarchies: the soul above, the material and base below. Yet such hierarchy is problematised, ironised, and ultimately displaced into an “imaginary system”—rendered a hollow symbol, akin to a sepulchral monument commemorating oppression and injustice.
What we encounter here is a satire of power and of normative rationality. The poem’s seemingly solemn tone is disrupted by lines that slip into lyrical absurdity:
O vita, mente e corpo senza uguale / diritto alla sopravvivenza / e alla onorabilità dell’ubriachezza.
This opens up a critique of codified forms of dignity and entitlement: drunkenness, typically marginalised, is here rehabilitated as a worthy condition—perhaps as a symbol of an uncontrollable vitality, unassimilable by the logic of power.
Then here I have encountered a striking paradox:
O giudizio, teorema che reca danno, bacia / e colpisce a morte...
Judgment, which ought to clarify and discern, is depicted instead as an ambiguous act—one that “kisses” (a gesture of legitimation) while simultaneously striking to kill (a repressive act). This seems to articulate a critique of Western normative rationality, which, under the guise of justice, enacts domination.
In the poem’s final lines, a reflection on time and space unfolds: the text abandons all hierarchical or teleological frameworks (high/low, before/after) in favour of a horizontal, shared spatiality:
traccia che annulla l’alto e il basso / e riconverte lo spazio a comunanza.
Here, an utopian—but by no means naïve—impulse emerges: a vision of society that recognises the parity of bodies, their equal dignity, without reducing them to mere data or measurable entities.
In conclusion, this poem by Erminia strikes me as a poetic act of sabotage against the language of power. It adopts an elevated register only to dismantle the superstructures of disciplinary knowledge, generating a short-circuit between body, space, law, and metaphor. It is a tragic satire, one that both laughs and mourns the world in a single gesture.
Analisi testuale
Testo ricco, stratificato, e denso di tensione satirica e politica che ho provato ad analizzare prima di tradurlo. Leggerlo è come entrare in un dispositivo filosofico travestito da poesia: uno spazio mentale che simula l’architettura del corpo per parlare del potere, del giudizio e della sopravvivenza.
La poesia mette subito in scena un linguaggio "alto", quasi oracolare, che finge un tono assertivo e “scientifico” (con parole come tropo ascensionale, planimetria, sistema immaginario), ma lo fa per smontare l’autorità del discorso dominante. È come se il testo mimasse il linguaggio di una burocrazia che tenta di contenere il corpo, di tracciarne i limiti, di normarlo — ma con un tono parodico, ironico, che espone l’assurdità di questa volontà di dominio.
Il corpo viene rappresentato come un territorio di conflitto, una mappa (planimetria) attraversata da tensioni verticali (dall’anima bella al rozzo ginocchio), e questa verticalità sembra riferirsi alla gerarchia classica: l’alto è l’anima, il nobile; il basso è il ginocchio, il materiale, il rozzo. Tuttavia, questa gerarchia viene problematizzata, ironizzata e “trasferita nel sistema immaginario” — cioè resa simbolo vuoto, come un monumento sepolcrale che celebra l'oppressione e i torti.
Si tratta di una satira del potere e della razionalità normativa. Il tono “solenne” viene scardinato da frasi che scivolano nell’assurdo lirico:
O vita, mente e corpo senza uguale / diritto alla sopravvivenza / e alla onorabilità dell’ubriachezza.
Qui si apre una critica alle forme codificate della dignità e del diritto: l’ubriachezza, normalmente marginalizzata, viene riabilitata come condizione degna, forse come simbolo di una vitalità incontrollabile, non sottomessa alla logica del potere.
E poi qui arriva dinanzi a me questo splendido paradosso:
O giudizio, teorema che reca danno, bacia / e colpisce a morte...
Il giudizio, che dovrebbe chiarire e discernere, viene rappresentato come un atto ambiguo, che “bacia” (simbolo di legittimazione) ma allo stesso tempo uccide (atto repressivo). Sembra una critica alla razionalità normativa occidentale, che sotto il pretesto della giustizia esercita dominio.
Negli ultimi versi, vi è una riflessione conclusiva sul tempo e lo spazio: la poesia abbandona ogni prospettiva gerarchica o teleologica (alto/basso, prima/dopo) e propone una spazialità orizzontale, condivisa:
traccia che annulla l’alto e il basso / e riconverte lo spazio a comunanza.
Qui sembra emergere un desiderio utopico, ma non ingenuo: una tensione verso una società che riconosca la parità dei corpi, la loro uguale dignità, senza ridurli a dati di fatto o a entità misurabili.
In conclusione, questa poesia di Erminia mi sembra un atto di sabotaggio poetico contro il linguaggio del potere. Usa termini “alti” per smontare le sovrastrutture del sapere disciplinare, creando un cortocircuito tra corpo, spazio, diritto e metafora. È una satira tragica, che ride e piange del mondo nello stesso gesto.
Brian Cole
Salisbury, 2014.
Body and Space
The austral is ascensional trope,
equipped with boundless
innocence. It arranges itself
on the exercise of the upright posture,
above the head, beneath the feet.
Such vertical wisdom stimulates staring at
the physicality within the margins of the planimetry
of the body, from pole to pole,
from the beautiful soul to the crude knee
transferred into the imaginary system
at the scale of a sepulchral monument
of oppression and of wrongs.
Metaphors as frames of life
and measures of dominion.
O life, mind and body with equal
right to survival
and to the honourability of drunkenness.
O judgment, theorem that harms, kisses,
and strikes to death its target
destined to project itself into the miserable god
of brute facts.
What equalises comes before, not us,
in the participatory present and in the earnest future,
neither conclusive nor antecedent,
but rather a trace that cancels high and low
and reconverts space
into commonality.
Erminia Passannanti, in Il Torsolo del Ventre ed altre Fandonie (2006)
(Translation by Brian Cole)
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