STORIA DI S. ST, SARTA E NUBILE. Poemetto, 2007 (Erminia Passannanti)

 


STORIA DI S. ST, SARTA E NUBILE 

Omaggio a Jung

*

di notte sono tormentata
da migliaia di serpi

il mio letto è tappeto
di aghi di pino
vi appoggio la testa
insostituibile

sono la duplice
politecnica

sono la regina degli orfani

mandano
danaro a vagoni
verso la mia capitale

ho creato la giogaia
dalla cima più alta

forse un bimbo verde
nasce.

**

volevo dire pressappoco
ferro cuscino sogno
predicazione a punto basso
porta vetrata ventilazione
stoffa, sì,

stoffa tagliata come burro
la razione d’emozione
che riferisco alla parola
“forbici”.

finestra, e pertugio, sono soltanto
un’amante del clavicembalo.
il fiore è la camelia.
O Signore, qui riaffiora
un’idea palpitante
come corolla lieve
o sentiment d’incomplétude.

***

sono stata danneggiata
grandemente da un rinvenimento
quanto mai remoto. ogni volta rifà
la sua degna comparsa
verde e in vetrina

selvaggio lacrimante
ridotto a lutto e in guerra

proprietario d’uno schiavo
fuori/dentro il negozio

lo schiavo sconosciuto
con in testa l’elmetto
e sul viso la maschera.

Ovvero inammissibile
come il bimbo
imbrattato a terra.


****

Signore,

con la presente la imploro solennemente di obliarmi con la massima urgenza. La mia testa è un chenin, un gattin, dove trova posto un bel piumatissimo cappello, ed un bouchet di foglie pallide e dolori. Nota a tutti la razione di umiliazione che ho dovuto patire. Seviziando la morte sono riuscita a risalire.

Non mi aspetto, per il momento, alcuna fine infausta. Rifiorirò, essendo persona sopravvissuta alle più grandi tribolazioni. Attualmente sono allo stremo delle forze. Desidero essere immediatamente rinnegata, e quando mi sarò allontanata, allora sì che io e Napoli inizieremo a fornire maccheroni a tutto il Mondo.

(30 gennaio 2007)

 

Poesia in memoria di un caso clinico trattato da Jung, di giovane affetta da demenza paranoide. La poesia contiene tra l’altro una sintesi di alcune ossessioni ed automatismi della giovane S. St. molto interessanti sul piano delle associazioni e degli automatismi linguistici che affiorano dal sostrato emotivo alterato della paziente.

Ho scritto altrove a proposito di queste afasie linguistiche, in una silloge esegetica sulla poesia del Novecento, in relazione al linguaggio di Amelia Rosselli ne La libellula (Erminia Passannanti, Logos, afasia e spazialità ne La libellula di Amelia Rosselli, Spazio e Spazialità poetica, a cura di Laura Incalcaterra McLoughlin, Troubador, 2005, pp. 67-88). Il saggio è stato ripubblicato da Biagio Cepollaro sul suo sito ed è presente on-line.

Quando ho letto i frammenti di analisi di questa paziente di Jung, recentemente, gli stralci di alcune sue lettere al direttore dell’ospedale psichiatrico per richiedere di essere dimessa, quando ho esaminato il tipo di afasia da cui era affetta (ho citato Jung oltre che Jakobson, nel mio saggio sulla Libellula), catalogata accuratamente da Jung e dai suoi assistenti, ho trovato molte affinità con la voce della degente ne “La libellula”, di Rosselli. Molte, troppe affinità anche con il linguaggio afasico della paziente demente che io ho direttamente esaminato e registrato, tra il 1990 e il 1993, e di cui ho riportato integralmente i deliri nella raccolta Macchina (già completata nel 1993 per il Premio Laura Nobile, premio che infatti la raccolta vinse appunto, secondo me, per la presenza della voce monologante di questa dramatis personae altra da me), e per il tema della malattia afasica, sia come patologia fisica sia come esaltazione della parola poetica, raccolta che potette essere pubblicata da Manni solo nel 2000 per mie difficoltà economiche.

La raccolta Macchina e il poemetto In Iugoslavia con i piedi a terra erano infatti una mia riscrittura dei deliri afasici di questo soggetto femminile, che avevo così da vicino analizzato e trascritto.

Ci sono delle costanti incredibili, nei deliri della demenza paranoie delle pazienti ospedalizzate. Riguardano il danneggiamento, l’autostima lesa, il valore dell’Io anche nel suo danneggiamento e la sua apologia costante, una certa dose di megalomania (ma sedata e mortificata, appunto) che si pone sul fronte della sopravvivenza, il concetto del proprio corpo come macchina, della propria morale come potenzialmente criminosa, insomma: vi sono delle costanti, come l’enfasi sulla intelligenza “impaired”, sul capitale di questa intelligenza dissipata.

Ho voluto pagare, con questa mia recente ripresa di quello stile e di quei temi, un “late tribute” alla parola afasica, in quanto, leggendo le testimonianze verbali, orali e scritte, della paziente di Jung, ho ritenuto che ella fosse potenzialmente un’autentica poetessa, ovvero di una che oggi si direbbe tale, e che noi riterremmo tale.

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